Le radici antiche del surf
La storia del surf affonda le sue origini tra le onde del Pacifico meridionale, dove già mille e più anni fa i polinesiani perfezionarono l’arte di cavalcare le onde. Questa pratica, inizialmente riservata ai nobili delle isole Hawaii, si diffuse poi in tutto l’arcipelago polinesiano prima di spostarsi verso occidente. Sebbene l’attività di body-surfing in Giappone – utilizzando semplici tavole di legno chiamate itago – fosse nota già in epoca pre-moderna lungo alcune coste orientali, il surf “da tavola” come lo conosciamo oggi arrivò molto più tardi.

L’arrivo del surf in Giappone: gli anni ’50–’60
Dopo la Seconda guerra mondiale, con la presenza massiccia di guarnigioni americane nelle basi di Yokosuka e Atsugi, il moderno surf inizia a fare breccia tra i giovani nipponici. Durante il periodo della guerra del Vietnam, i militari statunitensi sfruttavano il tempo libero per surfare lungo le coste di Shonan e Chiba, portando tavole di fibra di vetro e tecniche sconosciute fino ad allora sulle spiagge giapponesi. Contemporaneamente, nei primi anni ’60 un piccolo gruppo di locali scoprì il fascino di queste onde, dando vita ai primi circoli di surfisti e adattando gli stili hawaiani al proprio contesto culturale.

Una delle prime illustrazioni raffiguranti l'attività si surf in Giappone, sull'isola di Okinawa
Il boom degli anni ’70 e ’80
Negli anni ’70 il surf esplose nel paese del Sol Levante: contest internazionali e tour mondiali portarono star del calibro di Shaun Tomson e Wayne “Rabbit” Bartholomew sulle coste giapponesi, ispirando una nuova generazione di appassionati. Club e scuole di surf si moltiplicarono lungo il Pacifico, da Okinawa fino al mar di Ohotsk, mentre mercati locali e riviste come Blue Surf iniziavano a raccontare storie di onde spettacolari e viaggi epici. Questo decennio segnò anche la nascita dei primi surf shop nipponici, fulcro di una comunità in rapida crescita.

La strada principale di Naha, Okinawa, con forti influenze statunitensi
Okinawa: crocevia di culture marine
Sull’isola di Okinawa, vero paradiso tropicale del Giappone, il surf venne introdotto da surfisti hawaiani in visita negli anni ’60. L’acqua cristallina e le lunghe spiagge attraevano i pionieri, che importarono nuove tecniche di paddle e stili di cavalcata. Nel corso degli anni, Okinawa non è stata solo una meta esotica, ma un laboratorio di sperimentazione per tavole ibride e tavole corte, contribuendo a consolidare il legame tra tradizione polinesiana e innovazione nipponica.

Il celebre ed iconico ponte Ikema, Okinawa
Evoluzione recente e cultura contemporanea
Oggi il surf in Giappone è una vera e propria subcultura, capace di fondere l’estetica wabi-sabi con l’adrenalina dell’onda perfetta. Eventi come le tappe della WSL (World Surf League) e il ISA World Surfing Games hanno consolidato il paese come tappa irrinunciabile per i pro tour internazionali. Le accademie di surf nel sud del Kyushu e nel Chubu attirano studenti da tutto il mondo, mentre brand locali – spesso nati all’interno di surf shop indipendenti – propongono abbigliamento e accessori che mixano design minimalista e performance tecnica.

Un surfista giapponese in una sessione al tramonto, con alle sue spalle il monte Fuji
Prospettive future
Con l’attenzione globale rivolta sempre di più alla sostenibilità, i surfisti giapponesi stanno sperimentando tavole realizzate con materiali eco-friendly e protezioni solari biodegradabili. Il crescente turismo surfistico, insieme a un rinnovato interesse per le tradizioni locali (come le preghiere shinto prima del primo tuffo), conferma che il surf non è solo uno sport, ma un ponte culturale fra passato e futuro.

Una giovane ragazza di Okinawa, con la t-shirt WIJI MILANO
Dall’arrivo dei primi pionieri americani alle onde cristalline di Okinawa, la storia del surf in Giappone è un viaggio ricco di contaminazioni e innovazioni. Oggi, ogni tavola che scivola sul Pacifico nipponico porta con sé un’eredità pluricentenaria e la promessa di un orizzonte sempre nuovo da conquistare.
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